​​Jadwiga Podrygałło

​​​​Jadwiga Podrygałło partecipò alla difesa di Varsavia nel 1939. Dopo l’occupazione si unì al movimento di resistenza, aiutando i prigionieri di guerra polacchi a fuggire dalla prigionia. Durante l’insurrezione di Varsavia del 1944, prestò servizio come infermiera e ufficiale di collegamento.​ 

​​Jadwiga Podrygałło è nata a Varsavia nel 1919. Prima della guerra, fu una ragazza scout e si unì poi all’Addestramento Militare Femminile (un corpo ausiliario dell’esercito polacco). Fu il padre a insegnarle a sparare.  

​Jadwiga divenne comandante della difesa antiaerea della casa popolare in cui viveva dopo l’attacco tedesco alla Polonia nel 1939. Durante l’assedio di Varsavia, Jadwiga prestò servizio nei centri medici e nei centri di assistenza per neonati e bambini piccoli. 

​Dopo la caduta di Varsavia, il 27 settembre, si unì alla resistenza. Aiutò a organizzare le fughe dei soldati polacchi dall’ospedale, che era usato dai soldati tedeschi come un campo di prigionia. In seguito, organizzò gli alloggi per le esigenze della resistenza. Divenne poi soldato della “Dysk”, l’unità di diversione e sabotaggio femminile. La “Dysk” si occupava di far saltare in aria binari ferroviari, ponti, viadotti e altri luoghi strategicamente importanti per i tedeschi. Le donne dell’unità giustiziavano anche traditori e agenti della Gestapo. 

​Quando iniziò l’insurrezione di Varsavia, Jadwiga non riuscì a raggiungere la sua unità. Nessuno la conosceva, quindi non credevano che avesse seguito un addestramento al combattimento. Jadwiga era bassa, di corporatura molto esile e poteva essere facilmente scambiata per una bambina. Per questo motivo fu mandata nelle retrovie. Alla fine, arrivò nella sezione “Kryska” dell’Armata Nazionale (AK), dove venne soprannominata “Cucciolo”. 

​Jadwiga combatté nel distretto di “Czerniaków”, dove all’epoca combatteva anche un’unità di diverse centinaia di slovacchi al fianco dell’Esercito Nazionale (AK). Lì, divenne un ufficiale di collegamento con le forze slovacche. Veniva spesso inviata per trasmettere ordini o per una ricognizione della zona e dovette correre per le strade in rovina di Varsavia sotto il fuoco del nemico. 

​Dopo l’insurrezione di Varsavia, Jadwiga evacuò con i civili dalla città. Tuttavia, riuscì a fuggire ai soldati tedeschi e giunse a Kielce ,dove si dedicò all’insegnamento clandestino come docente di storia. Lì sposò Stanisław, delegato del governo in esilio a Kielce. Sia lei che il marito furono perseguitati dai comunisti. Jadwiga è morta nel 2015.​ 

​​Henryk Kosior

​​Henryk Kosior ha combattuto nell’esercito polacco nel settembre 1939. Durante l’occupazione sovietica, si unì alla resistenza. Fu arrestato e deportato in Unione Sovietica. Si unì all’esercito polacco che lasciò l’URSS e partecipò alla liberazione dell’Africa e dell’Italia.  

​​Henryk Kosior è nato l’11 maggio 1920. Prima della guerra fu inviato alla scuola di armi corazzate di Przemyśl. Dopo l’invasione della Polonia da parte del Terzo Reich e dell’Unione Sovietica nel 1939, combatté contro l’Armata Rossa e fu fatto prigioniero. All’epoca gli ufficiali polacchi catturati venivano spesso uccisi dopo la cattura, come durante il famigerato massacro di Katyń. Fortunatamente, i sottufficiali come Henryk venivano invece rilasciati abbastanza rapidamente. 

​All’età di 19 anni, Henryk iniziò a prestare servizio nel movimento di resistenza polacco. Lavorava sotto copertura in un’azienda di trasporti di Leopoli e il suo compito era quello di procurare armi per la resistenza.  

​Un collega di lavoro di Henryk vide che aveva una pistola, lo denunciò all’NKVD (la polizia segreta sovietica) ed Henryk fu condannato a 5 anni di lavori forzati vicino a Leningrado. Riuscì a fuggire, ma fu catturato dalle guardie al confine con la Finlandia e inviato a Kharkov, dove gli fu inflitta un’ulteriore condanna a 10 anni nel campo di lavoro di Vorkuta. 

​Dopo il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Polonia e Unione Sovietica, la maggior parte dei prigionieri polacchi fu rilasciata per formare l’esercito polacco in URSS. Fu un grande esodo di rifugiati che fuggivano dall’inferno dei campi di lavoro sovietici. Henryk si unì all’esercito appena formato, ma le sue condizioni di salute erano disastrose e trascorse quasi un anno negli ospedali da campo. 

​Dopo qualche tempo, le Forze Armate polacche evacuarono dall’URSS. Anche Henryk Kosior lasciò l’Unione Sovietica come soldato della 23ª Compagnia di trasporto delle Forze armate polacche nell’Est. I polacchi furono inviati al fronte in Italia. Henryk, come comandante di plotone, consegnava munizioni al fronte. Partecipò alla battaglia di Montecassino e alla liberazione di Ancona e Bologna. 

​Subito dopo la guerra, fu istruttore in una scuola di trasporti in Italia, per poi tornare in Polonia. Perseguitato dai comunisti, decise di emigrare in Germania. Morì il 7 marzo 2020.

​​Danuta Siedzikówna

​​​​Danuta Siedzikówna si arruolò nell’Armata Nazionale (AK) all’età di 15 anni e prestò servizio come infermiera. Dopo la guerra, quando i comunisti salirono al potere, fu ingiustamente accusata di cospirazione contro il governo e condannata a morte.​ 

​​Danuta Siedzikówna è nata nel 1928 in un piccolo villaggio vicino alla foresta di Białowieza. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la zona in cui Danuta viveva fu occupata dai sovietici. Suo padre fu arrestato ed esiliato nel profondo dell’Unione Sovietica. La madre di Danuta era una combattente dell’Armata Nazionale (AK). Dopo che i nazisti occuparono la Polonia orientale, fu arrestata dalla Gestapo e giustiziata in una foresta vicino a Białystok nel 1943. 

​Nel dicembre 1943, Danuta e sua sorella Wiesława prestarono giuramento all’AK e si unirono formalmente alla resistenza. Fu inviata a un corso sanitario per essere addestrata come infermiera e le fu dato il soprannome di “Inka”. 

​Le unità del movimento di resistenza nella zona in cui operava Danuta parteciparono attivamente all’operazione “Tempesta”, il cui scopo era combattere a fianco dell’Armata Rossa contro i nazisti. I sovietici sparsero il terrore nel territorio “liberato” e iniziarono a installare autorità subordinate. Alcune unità dell’AK decisero di combattere contro i sovietici. Una di queste era la 5ª Brigata dell’Armata Nazionale di Vilnius, comandata dal maggiore Zygmunt Szendzielarz. 

​Nel giugno 1944, “Inka” fu arrestata dall’NKVD per la sua collaborazione con il movimento di resistenza polacco. Fu salvata dalla prigione, e probabilmente dalla morte, dai soldati della 5ª Brigata, che la fecero evadere. Da quel momento dovette nascondersi dai comunisti. Cambiò nome, ma rimase nella brigata come infermiera e staffetta. Prestò servizio nell’unità del sottotenente Zdzisław Badoch. 

​Nel giugno 1946, si recò a Danzica per procurare del materiale medico per l’unità. Il 20 luglio fu arrestata e mandata in prigione dove fu torturata per ottenere informazioni. Fu accusata di aver partecipato a un complotto per rovesciare il governo. Nonostante fosse un’infermiera, fu accusata di aver ucciso miliziani e soldati del corpo di sicurezza. La propaganda comunista sulla stampa la definì “la sanguinaria Inka”. 

​Meno di due settimane dopo, il 3 agosto, un tribunale comunista la condannò a morte. Il 28 agosto affrontò il plotone d’esecuzione, ma nessuno dei soldati volle ucciderla. Nonostante si trovassero a pochi passi da lei, Inka fu solo ferita. Alle ore 06.15, il comandante del plotone uccise Inka con un colpo alla testa.  

​L’ubicazione dei resti di Danuta è rimasta sconosciuta per molti anni, fino a quando la sua tomba è stata ritrovata nel 2015.​ 

Aleksandra Mianowska

​​Aleksandra è stata una straordinaria attrice teatrale polacca. Durante la guerra ha partecipato al movimento di resistenza e aiutato i soldati polacchi a raggiungere il loro esercito in Occidente. Durante l’occupazione, aiutò gli ebrei e per questo fu insignita del titolo di “Giusto tra le Nazioni”. 

​​Aleksandra Mianowska (nata Siwadłowska) nacque il 16 luglio 1912. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, si impegnò in opere di carità e in attività di resistenza. 

​Quando l’esercito tedesco invase la Polonia, Aleksandra si unì alla Croce Rossa polacca a Cracovia. Fu poi trasferita in un ospedale nell’ area di Lublino per aiutare a registrare i feriti e i morti dei combattimenti. In questo ruolo, Mianowska deve aver sperato di trovare qualche informazione sul marito, ferito mentre prestava servizio nell’esercito polacco durante l’invasione tedesca. 

​Tornata a Cracovia, iniziò a fare l’infermiera volontaria nell’ospedale per i prigionieri polacchi. Ufficialmente era lì come delegata della Croce Rossa polacca, ma sotto lo pseudonimo di “Kama” forniva ogni sorta di aiuto ai malati e ai feriti per conto della resistenza. I suoi altri pseudonimi erano Alina Sieprawska e Alina Saciłowska. Fu arrestata dalla Gestapo nel dicembre 1940 e trascorse sei settimane nella prigione di Montelupich, dove scrisse il famoso “Inno di Montelupich”: 

​Montelupich è così divertente, 
è così divertente, 
Essere qui è semplicemente grandioso, 
semplicemente grandioso, 
Al mattino, alla sera, 
Heizel*, dacci cibo a volontà. 
Chi non ha mai soggiornato a Montelupich 
Dovrebbe rimpiangere […] 

​*Heizel era il nome che i prigionieri usavano per descrivere la persona che consegnava i pasti nelle celle.

​Mianowska fu rilasciata grazie all’intervento dei suoi amici e continuò la sua opera di beneficenza nel Consiglio Centrale del Welfare, una delle poche organizzazioni sociali polacche tollerate dagli occupanti. Continuò anche le sue attività di resistenza, aiutando i soldati dell’Armata Nazionale (AK) e collaborando con il Żegota (Consiglio polacco per l’aiuto agli ebrei).  

​Dopo la guerra Mianowska lavorò a Cracovia nella libreria antiquaria di un famoso libraio, Stefan Kamiński, e fu anche docente all’Università Jagellonica. Scoprì la morte del marito solo nel 1946 anche se egli morì nel 1939. Non si risposò mai. Dopo essersi diplomata alla Scuola Statale d’Arte Drammatica Ludwik Solski di Cracovia nel 1960, ottenne il titolo professionale di regista teatrale. Aleksandra Mianowska morì il 9 novembre 2000.​ 

Piet Meerburg

Piet Meerbug era un membro della resistenza ad Amsterdam. Fu il leader di un gruppo di resistenza che contribuì a salvare centinaia di ​​bambini e bambine ebree dalla deportazione e a fornire loro dei nascondigli. 

Quando i Paesi Bassi furono occupati, Piet Meerburg aveva appena iniziato a studiare legge ad Amsterdam. Durante i primi due anni di occupazione si limitò a studiare, ma gradualmente fu coinvolto anche nella resistenza.  

Nel luglio 1942, quando iniziarono le deportazioni degli ebrei dai Paesi Bassi, un gruppo della resistenza di Utrecht chiese a Piet di aiutare a trovare dei nascondigli per i bambini ebrei. “Quando mi resi conto che questo lavoro illegale mi avrebbe impegnato quotidianamente, lasciai completamente gli studi”.  

Ad Amsterdam, il teatro Hollandse Schouwburg era utilizzato come centro di deportazione: i bambini ebrei venivano ospitati in un asilo nido di fronte al teatro prima di essere deportati. Il personale ebraico del teatro e dell’asilo nido portò via di nascosto centinaia di bambini con l’aiuto di studenti non ebrei, come Piet. Egli cercò dei nascondigli, spesso in Frisia e nel Limburgo, regioni lontane da Amsterdam: “I bambini non sono mai stati un problema. Ma quando si trattava di ragazzi più grandi, dall’aspetto decisamente ebraico, era tutta un’altra storia”.  

Uno degli ostacoli era costituito dai genitori che non volevano consegnare i propri figli. Piet lo capiva: chi darebbe via ​il ​proprio figlio? ​“​​​Walter Süskind, impiegato del Consiglio ebraico, fu la soluzione: egli sapeva quali genitori desideravano che i propri figli si nascondessero”. La direttrice dell’asilo ebraico Henriëtte Pimentel aiutava i bambini a fuggire segretamente attraverso una via di fuga fornita dal direttore della scuola adiacente.  

Secondo Piet, tra i giovani aiutanti si creò un’atmosfera speciale: “La tensione, la paura e il cameratismo: a volte tutto questo suscitava forti sentimenti d’amore”.   

Dopo la guerra, Piet andò a lavorare per la Commissione per i bambini di guerra. Circa 5.000 bambini ebrei sopravvissero alla guerra in clandestinità, spesso nelle case di famiglie adottive cristiane. Circa 2.000 di questi bambini persero entrambi i genitori. Attorno alla loro situazione emerse presto un conflitto: i bambini orfani dovevano rimanere con le famiglie cristiane che li avevano ​adottati​​ o tornare dai loro parenti ebrei? Piet lasciò la Commissione proprio a causa di questo conflitto.  

Marga Grunberg

Marga Grunberg era una rifugiata ebrea tedesca di diciassette anni. Nei Paesi Bassi si unì alla resistenza distribuendo documenti falsi, aiutando le persone a nascondersi e a trovare una via di fuga verso la Francia. 

A causa dell’antisemitismo nella Germania hitleriana, Marga Grunberg fuggì nei Paesi Bassi con la famiglia nel 1934. Quando i Paesi Bassi furono occupati nel 1940 furono introdotte misure antiebraiche.   

Dal 1941 Marga fu costretta a frequentare una scuola ebraica separata e, come per tutti gli ebrei, una grande “J” fu impressa sulla sua carta d’identità personale. Dal 1942 fu invece costretta a indossare la Stella di David sui vestiti. “Nel giugno 1942 iniziarono i rastrellamenti e le deportazioni. Mentre camminavo lungo la strada vicino a casa, un furgone per il rastrellamento di ebrei arrivò all’improvviso”. Con l’aiuto di uno sconosciuto Marga riuscì a fuggire, “ma, da quel momento di ansia, decisi di adottare una nuova identità e mi tinsi i capelli di biondo”.   

Tramite Piet Landweer, capo dell’ufficio anagrafe di Amsterdam, Marga, denunciando lo smarrimento della carta d’identità, ne ricevette una falsa, senza la “J” richiesta. Marga rimosse anche la Stella di David da tutti i suoi vestiti.  

Piet e Marga iniziarono a lavorare insieme. Piet Landweer forniva carte d’identità false utilizzando i dati personali dei residenti di Amsterdam che erano deceduti. In seguito all’attacco all’Ufficio del Registro di Amsterdam da parte della resistenza nel marzo 1943, questo lavoro divenne un po’ più facile: il caos offriva maggiori opportunità di modificare i documenti. Il lavoro di Marga consisteva invece nel distribuire documenti falsi, trovare alloggi per i clandestini e fornire loro tessere di razionamento per i pasti.  

Marga andò a vivere ad Amsterdam con la madre e il fratello nell’appartamento sopra una simpatizzante nazista. “Ci ha salvato la vita diverse volte, senza saperlo. Quando le case della nostra strada venivano perquisite, ad esempio, lei apriva la porta e diceva che nella sua casa vivevano solo filonazisti. ‘Nella tana del leone si è sempre più al sicuro'”. Nell’appartamento, Marga e suo fratello Manfred offrivano alloggio ai clandestini e organizzavano la via di fuga verso la Francia.   

Marga sopravvisse alla guerra. Piet Landweer fu arrestato e giustiziato insieme a cinque ​​colleghi nell’estate del 1944. 

Johan Snoek

Johan Snoek durante la guerra aiutava le persone a nascondersi. Durante la battaglia di Arnhem nel settembre 1944, lui e la sua famiglia furono costretti ad abbandonare la loro casa e a trasferirsi da alcune zie. Johan continuò la sua opera di resistenza e aiutò un generale britannico ad attraversare il fronte per tornare dalle sue truppe. 

Johan aveva quasi 20 anni quando i Paesi Bassi furono occupati. Gradualmente, la sua famiglia diventò parte della resistenza.  

Egli proveniva da una famiglia protestante riformata e vedeva la guerra come una battaglia tra il bene e il male. A proposito del suo lavoro di resistenza nel suo diario scrisse: “Perderesti il rispetto di te stesso se non lo facessi”. La sua famiglia ospitò e nascose un bambino ebreo nella propria casa e Johan stesso organizzò altri nascondigli. Durante la battaglia di Arnhem, la loro casa si trovò al centro della linea del fronte e, per questo motivo, l’intera famiglia dovette trasferirsi da alcune zie.  

Il generale britannico John Hackett, gravemente ferito durante la battaglia di Arnhem, era rimasto intrappolato nella parte occupata dei Paesi Bassi e trovò nascondiglio da Johan e dalla sua famiglia. Non era una situazione facile, poiché non c‘era cibo a sufficienza e anche la famiglia Snoek era ospite in quella casa. Tuttavia, Hackett e la famiglia di Johan riuscirono ad andare d’accordo. 

Dopo essersi ripreso dalle ferite, Hackett era desideroso di tornare dalle sue truppe. Nel gennaio 1945, Johan lo aiutò a raggiungere De Biesbosch, un’area naturale con molti ruscelli e paludi che offriva una via di fuga verso la parte liberata dei Paesi Bassi. Partirono in bicicletta, con Hackett che portava una spilla che indicava che fosse non udente in modo da nascondere la sua incapacità di parlare olandese nel caso in cui fosse stato fermato dalle truppe tedesche.  

Dopo un viaggio di diversi giorni, due membri della resistenza riuscirono a portare Hackett nel territorio liberato con una canoa. Una settimana dopo, Johan sentì il messaggio in codice di Radio Orange: “L’oca grigia è partita”. Ciò significava che Hackett era riuscito a compiere la traversata!  

Dopo la sconfitta nella battaglia di Arnhem, circa 350 truppe alleate si nascosero nella zona, di cui almeno 145 furono riportate nelle linee amiche dalla resistenza olandese. Ci furono 374 “attraversamenti di Biesbosch”, la maggior parte dei quali coinvolse soldati alleati che cercavano di ricongiungersi alle loro unità nel territorio liberato. Rifornimenti e medicinali furono trasportati nella direzione opposta nei Paesi Bassi occupati. 

Hannie Schaft

Per un grande senso di giustizia, Jo Schaft, dai capelli rossi, andò a studiare legge ad Amsterdam nel 1938. Durante l’occupazione, Jo aiutò le persone oppresse, entrando a far parte della resistenza con lo pseudonimo Hannie. Divenne poi famosa proprio con questo nome.  

All’inizio della guerra, la vita sembrava continuare come al solito. Hannie studiava e passava molto tempo con le sue compagne di studi e amiche Sonja Frenk e Philine Polak, che erano ebree. Dall’autunno del 1940, le sue amiche dovettero affrontare misure antiebraiche che fecero infuriare Hannie. Quando Sonja e Philine dovettero indossare la stella di David, Hannie decise di rubare le carte d’identità a persone che non erano ebree. Fu il suo primo atto di resistenza. 

In seguito rubò molte altre carte d’identità e organizzò dei nascondigli. 

All’inizio del 1943, tutti gli studenti olandesi dovettero firmare una “dichiarazione di fedeltà”, promettendo di obbedire alle forze di occupazione. Chi si rifiutava non poteva più studiare. Hannie non firmò e, da quel momento in poi, si dedicò completamente alla resistenza, di cui scelse la forma più estrema: ​​si unì infatti a un gruppo di combattenti comunisti della resistenza che, durante quegli anni, uccise diversi collaborazionisti. 

Hannie svolgeva spesso le sue missioni insieme all’amica Truus Oversteegen. “Mi ero travestita da uomo in modo che io e Hannie potessimo fingere di essere una coppia di innamorati”, ha spiegato Truus. “Sparare ai traditori era una cosa terribile, ma bisognava farlo. Dopo tutto, non potevamo metterli in prigione”. 

Dopo aver saputo che le forze tedesche stavano cercando una ragazza dai capelli rossi, Hannie si tinse i capelli di nero e iniziò a portare gli occhiali da vista. Tuttavia, un giorno del marzo 1945, fu fermata a un posto di blocco per strada e scoperta mentre trasportava giornali illegali e una pistola. Fu riconosciuta come “la ragazza dai capelli rossi”. Dopo essere stata interrogata per giorni e notti intere, Hannie ammise di aver partecipato alla resistenza, ma non fece alcun nome. Il 17 aprile, tre settimane prima della liberazione dei Paesi Bassi, fu portata sulle dune e fucilata senza processo. Aveva 24 anni. 

Fernanda Kapteijn

Fernanda Kapteijn, adolescente di Utrecht, prese parte alla resistenza come staffetta. Le donne come Kapteijn furono essenziali per i movimenti di resistenza dei paesi occupati, poiché avevano meno probabilità di attirare sospetti e non erano soggette al lavoro forzato per il regime nazista. 

Fernanda Kapteijn era figlia di genitori comunisti che gestivano una libreria a Utrecht. La famiglia viveva sopra al negozio.  

Fin dall’inizio della guerra, Fernanda, come i suoi genitori, fu attiva nella resistenza. Nella libreria venivano infatti stampati giornali illegali e Fernanda si occupava della loro diffusione, insieme alla distribuzione di denaro alle famiglie i cui uomini erano stati arrestati. “Non c’era spazio per avere paura, tutto ciò che si poteva fare era il possibile per essere al sicuro. La bicicletta doveva essere a posto, così come il suo fanale, in modo da non venir fermati e presi per nient’altro“  

Un giorno, Fernanda era in viaggio con 500 opuscoli illegali nella bisaccia quando le cose per poco non andarono storte. “All’improvviso mi accorsi di un posto di blocco tedesco”. Uno dei soldati toccò la sua bisaccia con il calcio del fucile, ma per fortuna Fernanda aveva messo delle patate sopra gli opuscoli e – alla fine –  il soldato le permise di continuare il suo tragitto.  

“Ho ricominciato a camminare il più lentamente possibile e con disinvoltura, anche se mi sembrava di correre a perdifiato!”.  

Alla fine del 1944, le staffette in bicicletta divennero ancora più essenziali per la resistenza. A metà settembre 1944, il governo olandese in esilio a Londra aveva indetto uno sciopero ferroviario per fermare il trasporto delle truppe tedesche. Circa 30.000 ferrovieri si nascosero, con il sostegno finanziario di Londra. A causa dello sciopero delle ferrovie, divenne più difficile per la resistenza comunicare sulle lunghe distanze. Non c’erano quasi più automobili e non c’era benzina. Di conseguenza, la resistenza comunicava principalmente attraverso le staffette in bicicletta e i collegamenti telefonici illegali. Per facilitare la comunicazione fu creata una rete di staffette in bicicletta con collegamenti regolari.  

Quando a Fernanda fu ordinato dal gruppo di resistenza comunista dei suoi genitori di portare una pistola, ella si rifiutò. “Allora mi sono detta: né ora né mai. Non ho il diritto di togliere la vita a qualcuno”.